ESSI PENSANO AD ALTRO”, DI SILVIO D’ARZO, RIPROPOSTO DA ECRA EDIZIONI: UN PICCOLO GIOIELLO NASCOSTO DELLA LETTERATURA ITALIANA. ECCO LA PREFAZIONE

di Gianni Maritati

    essi pensano ad altro (cop)Bisogna attraversare molti oceani prima di arrivare al cuore misterioso ed enigmatico della narrativa di Silvio D’Arzo, pseudonimo dell’emiliano Ezio Comparoni (1920-1952), singolare figura di stella umile e appartata nei vasti cieli della letteratura italiana. “Essi pensano ad altro” – il titolo della prima stesura era “Ragazzo di città” – fu scritto a cavallo fra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. Frutto dell’apprendistato letterario di Silvio D’Arzo – di padre ignoto e quindi molto legato alla madre – questo originale romanzo è stato pubblicato soltanto postumo, nel 1976, allargando la conoscenza di un autore ricordato da tutti per il suo capolavoro, “Casa d’altri”, che Eugenio Montale definì un “racconto perfetto”.

     In queste pagine fitte di dialoghi, descrizioni d’effetto, tormentati e irrisolti stati d’animo, vive un mondo di cose disabitate di senso. Un mondo in cui vivono pesci “color niente”, creature sospese nel tempo e nello spazio, allegorie viventi del disagio e spesso del male di vivere in una società troppo banale e mediocre, lontana dalle aspirazioni e dai sentimenti di chi cerca di guardare oltre la parete dell’esistenza, oltre il vuoto della vita. 

     ”Riccardo ed io siamo molto diversi dalla gente”, dice il co-protagonista Alberto Arseni, di professione imbalsamatore di animali morti e “collezionista” di animali viventi. Questo orgoglio della diversità ci porta nella Bologna degli anni Trenta. Il giovane Riccardo, suonatore di violino, l’altro protagonista del romanzo, lascia la campagna per studiare all’Università (Comparoni studiò effettivamente nell’ateneo felsineo). Alberto, vecchio amico del padre, lo accoglie in casa e fra i due si stabilisce un rapporto d’amicizia, un forte sodalizio, che li fa sentire “estranei” al mondo circostante. Così Riccardo si sofferma sulla stanza di Alberto, trasmettendo subito, fin dalle prime pagine del romanzo, l’atmosfera rarefatta, indistinta e straniante che domina tutta la narrazione darziana:

La stanza era tutta avvolta, o tutta presa, da uno strano disordine che però non dava quel senso di disagio e forse pena che invece causa di solito la vista di oggetti posti senza criterio o ammonticchiati, come quando si cambia di casa, sui carretti. Era folta di cose come tutte le stanze povere, quasi irta: e, appoggiata al parapetto del camino, c’era anche una bicicletta magra da operaio con un freno solo e impossibile. Altri oggetti, fuori in un certo senso dal comune o dalla pratica giornaliera degli uomini, balzavano subito all’occhio qua e là, senza stonare o urtare in qualche modo; e da quell’insieme anzi di ferri nichelati, stracci, boccette, pezzi di giornale ed altro ancora nasceva un’indefinibile singolare simmetria che arrivava subito al cuore o press’a poco senza riuscire a dire niente agli occhi.”

    Con uno stile ricco di simboli e di fantasia, D’Arzo descrive i loro rapporti con altri personaggi: un maestro di violino dipendente dall’alcol che ama filosofeggiare (Piàdeni), il “domatore” di una scimmia ammaestrata che si esibisce con l’accompagnamento di un trombone suonato da suo fratello (Nemo ed Enrico) e la giovane commessa di una vicina cartoleria (Ernestina, innamorata di Riccardo). Tragedia finale: Enrico muore cadendo accidentalmente dal balcone di casa Arseni  proprio per inseguire un animale che Alberto teneva in casa. I due, Riccardo ed Alberto, vengono mandati via dagli altri inquilini senza troppa cordialità, come fossero due virus da espellere dal corpo di un malato.

     Il romanzo affascina il lettore con il suo andamento onirico e il suo stile straniante. In una scena, Riccardo ha un colloquio con Nemo e alla fine se ne va via con lui sotto lo sguardo degli altri. “La gente li guardò allontanarsi per la strada delusa e in un certo senso quasi offesa, mentre il senso ampio del vuoto e dell’inutile cominciava a gravare sopra quell’angolo di strada come accade la domenica sera sulle piazze, e i due camminavano lenti sulle pietre come uomini d’altri mondi o naufraghi”. In un’altra occasione, Riccardo ed Ernestina s’incontrano, parlano e se ne vanno. “I due ragazzi camminavano in mezzo a tutti gli altri come si cammina nei sogni e nelle fiere”. Soltanto la musica sembra avere una sua consistenza autentica, una ragione d’esistere:

Voi volete sentirmi, non è vero, perché io sono musica, questo sì, e se non si sente la musica dentro il sangue è come essere sassi in mezzo all’acqua,” gridò Piàdeni. “Neanche sulla strada, in mezzo all’acqua, tanto che nessuno li vede, o li piglia in mano magari per lanciarli”. Senza musica, siamo sassi invisibili.

Attraverso le vicende dei personaggi, Silvio D’Arzo affronta temi molto moderni legati al disagio esistenziale: il senso del fallimento, la paura di sentirsi inutili e fuori posto, l’angoscia dell’incomunicabilità, il vedersi nel mondo come estranei, in “casa d’altri”. Il titolo del romanzo allude a questa realtà liquida ed evanescente, disadorna e disgregata. Una realtà frammentata dov’è possibile, sulle orme di Alberto e Riccardo, soltanto inseguire il sogno di vivere all’ultimo piano di un palazzo, fra le armonie del violino e i versi degli animali: lontani da un mondo incomprensibile, “altro”.

I FIGLI DEL CAPITANO GRANT”, UN CLASSICO DI JULES VERNE (ISPIRATORE DI UN GRANDE FILM LIVE ACTION DI WALT DISNEY DEL 1961), ADESSO RIPROPOSTO NELLA CELEBRE VERSIONE A FUMETTI DI FRANCO CAPRIOLI DA NPE EDITORE

Glasgow, 1861. Il capitano Grant, a bordo della sua “Britannia”, parte per i mari del Sud allaI FIGLI DEL CAPITANO GRANT (COP) ricerca di una terra grande e fertile dove fondare una colonia scozzese. I suoi figli Mary e Robert, orfani di madre, vengono affidati alle cure della zia Judy.
Dopo mesi di navigazione lungo le rotte atlantiche e del Pacifico, tra tempeste paurose e calme ostinate, un violento tifone investe la nave causando un inevitabile naufragio. Ma il comandante, miracolosamente sopravvissuto, affida al mare una richiesta di soccorso.
È Lord Glenarvan a ritrovarla e a lanciarsi, insieme ai figli di Grant, nell’impresa di raggiungerlo, affrontando un avventuroso viaggio intorno al mondo.

Pubblicato originariamente nel 1867, il romanzo “I figli del capitano Grant” di Jules Verne costituì il primo capitolo di una trilogia scritta dal padre della fantascienza moderna e proseguita poi con “Ventimila leghe sotto i mari” e conclusasi con “L’isola misteriosa.”. Da grande amante della narrativa di Verne, Franco Caprioli, maestro delle storie d’avventura e di mare. si è dedicato a numerosi adattamenti a fumetti delle opere dello scrittore francese: si pensi ad esempio a “Michele Strogoff” e a “Un capitano di quindici anni.” Non riuscì però a completare il lavoro iniziato su “I figli del capitano Grant”, successivamente portato a termine da un’altra grande firma del Fumetto italiano: Gino D’Antonio.

Edizioni NPE pubblica nuovamente questa trasposizione a fumetti in una edizione cartonata a colori, che comprende anche i disegni di Franco Caprioli rimasti incompiuti e una prefazione del grande esperto Gianni Brunoro.

IVANHOE”, WALTER SCOTT (AMATO DA ALESSANDRO MANZONI) SECONDO DINO BATTAGLIA. UN ROMANZO GRAFICO DI GRANDE IMPATTO VISIVO ED EMOTIVO, EDIZIONE NPE

Dal romanzo di Walter Scott, considerato il primo vero esempio di genere storico, l’adattamento a fumetti ad opera di Dino Battaglia


ivanhoe di dino battagliaInghilterra, anno 1194: il trono è vuoto. Il re Riccardo I, detto Cuor di Leone, non è ancora tornato dalla crociata per la quale è partito tre anni prima. Forse è prigioniero, forse è morto. L’incertezza della sua sorte getta il regno nell’incertezza.

Mentre il dissidio tra i normanni conquistatori e i sassoni soggiogati si fa sempre più acuto, il fratello Giovanni Senzaterra approfitta della situazione e tenta di impadronirsi della corona, sostenuto dai suoi partigiani.

Tra mille avventure, “l’eroe senza macchia” Ivanhoe si batterà per salvare il trono, con l’aiuto di un misterioso cavaliere nero.

ZANZARE TIGRE” E “SCHERIA” DI CARLO BOUMIS, LE COMMARI EDIZIONI

È estate e le zanzare tigre assediano e colpiscono il protagonista, che ne ha un’avversione oltre la soglia della psicosi. Ama gli immigrati e odia i vecchi, che ritiene responsabili del disastro della sua città e del suo paese. Non sopporta più il luogo in cui vive e, per cambiare vita, decide di indagare su uno degli affari mafiosi che immagina dietro le nuove attività commerciali del suo quartiere. Sono nate dopo il Covid, per celare attività di riciclaggio e malaffare, in luoghi incongrui, che hanno mantenuto le loro caratteristiche funzionali primitive: una sartoria in una macelleria, un lavaggio macchine in una palestra di danza, una lavanderia in un negozio di pesci tropicali, una sala slot in un’officina meccanica. Vuole “scoprire qualcosa da mettersi proprio nei guai” e poi sfruttare un programma di protezione che lo allontani dal suo paese e gli fornisca una nuova vita e una nuova identità.

Scheria è l’isola dove il naufrago dell’Odissea è accolto dai Feaci, ristorato e dotato dei mezzi per concludere il suo viaggio. È anche un centro d’accoglienza per gli adolescenti in Sicilia. Vi approderà Giulio, un insegnante che, ossessionato dalla violenza della storia e dalla estenuazione di senso del presente, non riesce più a lavorare nella scuola e dispera nella trasmissione di una cultura in cui, però, si identifica in modo profondo. La relazione problematica e appassionata con i suoi allievi stralunati, che aiuterà l’insegnante a riconoscere in sé i tratti di un danno comune ai ragazzi, si svilupperà nella lettura dei testi della letteratura e delle tracce degli animali che popolano Scheria. Proprio l’amore per l’ambiente naturale, che condivide con Gregorio, lo spiazzante e generoso responsabile del centro, permetterà a Giulio di superare il limite che lo separa dai suoi allievi e di giungere con loro ad un’empatia che sarà il preludio d’un nuovo inizio.

ERAVAMO IMMORTALI”, ROMANZO DI MARCO CASSARDO (MONDADORI)

eravamo immortali (cop)

Recensione di Alessandro Testa

Oggi parliamo del Libro “Eravamo immortali”, dell’Autore Marco Cassardo.

Si tratta di un Romanzo di straordinaria complessità, senza che questa peculiarità interferisca con la scorrevolezza del testo, che si presta ad una lettura abbastanza fluida. Lo stile narrativo è infatti incalzante e dinamico, caratterizzato da un taglio stilistico che potremmo definire “cinematografico.” Attraverso queste pagine, ci immergeremo nelle vicende di Steu e Nando, due giovani idealisti legati da una profonda amicizia. Scopriremo un’opera letteraria che si inserisce nel contesto di eventi storici realmente accaduti, i quali coprono un periodo che parte dal lontano 1939. Ci troviamo dinnanzi ad un racconto che combina diversi elementi stilistici ben strutturati, dai dialoghi alle descrizioni, le quali risultano in taluni casi abbastanza prolisse, ma comunque funzionali nel rendere vivide le ambientazioni del Romanzo.

Tornando ai protagonisti principali del racconto, mi sono personalmente soffermato sulla straordinaria caratterizzazione psicologica di Steu e Nando, due giovani con ideologie politiche diametralmente opposte, ma ciononostante uniti da un profondo legame e dalla passione per il ciclismo.

Entrambi si troveranno sconvolti e coinvolti da accadimenti storici che – come ben sappiamo – avranno inevitabile influenza sull’Italia e sul Mondo intero. Condividere attivamente gli orrori della guerra contribuirà, – pur tra molteplici prove e dure vicissitudini personali – nel rafforzare un vincolo fraterno che resisterà alle sferzate del tempo. Ovviamente la cornice del libro è arricchita da personaggi secondari – ma non per questo meno importanti – i quali rappresentano gli affetti più cari di Steu e Nando, e che conferiscono un armonico bilanciamento narrativo alle vicende esposte nell’opera. In definitiva, si tratta di un Romanzo che si rivelerà essere una lettura intensa e affascinante.

IL LIBRO DELLA SETTIMANA

ROSA PARKS, LA RIVOLUZIONE IN AUTOBUS (COP)

PRISMA. Di Gianni Maritati. Con Ruggero Pianigiani

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